Buonismo e scelta iniziatica
- Giancarlo Tarozzi
- 15 set
- Tempo di lettura: 2 min
di Giancarlo Tarozzi
I presupposti della scelta iniziatica
Uno dei presupposti della scelta iniziatica, della Ashanti, è quello di operare per il bene e la crescita della realtà umana: quindi non solo per se stessi, ma attraverso la partecipazione a tutto ciò che ci circonda. Questo spesso può diventare difficile, perché nel mondo patriarcale siamo intrisi di impressi che derivano dalla cultura delle grandi religioni patriarcali, come il buonismo o la compassione. Ambiti che hanno poi portato all’assistenzialismo, attraverso cui il mondo bianco occidentale ha esercitato potere sulle popolazioni africane e sudamericane, “aiutando dall’alto” non per risolvere, ma per tamponare le loro condizioni difficili.
Assistenzialismo opposto alla scelta iniziatica
Su un piano iniziatico elevato, tutto questo ostacola la crescita perché crea una condizione di dipendenza, come il buonismo e l’assistenzialismo ci hanno insegnato nel tempo: chi dà si sente in qualche modo superiore. Basti pensare alle “damine di San Vincenzo”, di cattolica memoria. Ma soprattutto, tutto questo non stimola la crescita in chi riceve: non strumenti per evolvere, ma solo cibo o altre forme di sostegno che lasciano le persone esattamente nella stessa condizione.
Un percorso iniziatico, invece, si basa sulla scelta attiva. La scelta attiva significa prendere in mano e gestire gli strumenti partecipativi per determinare la propria realtà, invece che limitarsi a reagire a ciò che il mondo esterno propone. Ed ecco che ci si ricollega alle cosiddette beatitudini di cristiana memoria: “beati i poveri di spirito”, “beati i poverelli”, “beati gli sfigati”, “beati i disgraziati”. Tutti esaltati come se non avessero alcun motivo o stimolo per trasformare la propria condizione, e rimanessero in una povertà interiore che diventa un destino.
Le culture tradizionali e il buonismo
Le culture tradizionali – non solo quelle iniziatiche, ma anche quelle dell’esoterismo orientale, del Buddhismo tibetano, del Reiki e di tanti altri ambiti, senza dimenticare la cultura dei Q’eros, eredi degli Inka nelle zone del Perù centro-meridionale e della Bolivia – propongono invece una realtà basata sullo scambio energetico. Questo principio consente di non limitarsi a ricevere, ma di scambiare, creando un’interazione paritaria invece che mantenere uno scalino di dipendenza verso chi ha assistito e ha dato.
Tutto questo va in netto contrasto con i dettami della cultura dominante che, proprio come tale, domina il mondo mantenendo la povertà e la dipendenza interiore. Concetti come “beati i poveri di spirito” inducono a non cercare motivi per crescere: più sei interiormente “sfigato” e prima andrai in paradiso. L’esaltazione della sofferenza ritorna anche nella visione karmica indiana, dove l’individuo non è mai stimolato a prendersi in mano per gestire la propria vita o il proprio percorso iniziatico.





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